Pro-Meide – Libro I – Papà Gambalunga

Libro I – Cap. VI

Papà Gambalunga

“Cosa fare per migliorare le mie bambine? Il peso, bisogna ridurre il peso come in un programma weight watchers, limando su componenti, ruote e gomme: lo posso fare. Questo è l’aspetto semplice da affrontare, quello che qui bisogna trovare è migliorare la geometria e le sospensioni.” In effetti la tendenza era di allungare le escursioni ma solo in ambito discesistico: le front erano le più vendute, era più facile vedere un’ apparizione della Madonna a Medjugorje che una biammortizzata con freni a disco sui sentieri. Chi aveva un retaggio motociclistico e soprattutto il desiderio di non devastarsi la schiena, cercava come Gianni il continuo miglioramento del mezzo, del resto la bici migliore è quella che non è ancora uscita sul mercato. Quindi siamo sempre alla ricerca di un miglioramento, non poteva immaginare che quel giorno un altro tassello sarebbe saltato.

Quello che bisogna sapere è che i costruttori non avevano le idee ben chiare su questi due aspetti: l’angolo di sterzo era verticale quanto il canale Marinelli su monte Rosa ed il movimento centrale se la giocava con l’antenna in cima all’Empire State Building fortunatamente senza King Kong a prenderci a schiaffi. Le sospensioni fino a quei momenti erano oneste, spesso un paio di AJ 1 avevano una risposta elastica migliore.

Questa ricerca, che ormai era un’ossessione, coinvolgeva Daniele Marnati ogni qualvolta il Biffi entrava nell’officina di via Delfico dove il braccio meccanico di Pro-M costruiva i telai che portavano il suo nome “MARNATI” dipinto sul tubo obliquo con quel sapore che oggi chiameremmo vintage, proseguendo la storia artigianale che suo padre aveva iniziato negli anni quaranta.
“Signor Biffi, buongiorno il Daniele l’è de là a saldà, aspeta che vù a ciamal un atim che le riva”. La Sig.ra Marnati, mamma di Daniele, presidiava l’ingresso in officina dietro ad un bancone di legno. Stava impettita come una guardia Svizzera davanti al Vaticano, vestita con un’eleganza di altri tempi e con i capelli sempre in condizione perfetta, facendo si che nessuno potesse entrare in officina filtrando Clienti ed amici ma soprattutto i pensionati nullafacenti della via, vere mine vaganti tra il bar di fronte, la chiesa chiusa e le bici esposte in vetrina che cercavano di entrare con la scusa di parlare dei pettegolezzi del quartiere con Lei, ma il fine era di guardare Daniele all’opera nelle registrazioni fini con sommessi borbottii, orfani di cantieri in zona.

Abbandonava la postazione solo in casi estremi, giusto se entrava uno come Gianni, altrimenti stava immobile continuando a leggere o a fare le parole crociate, prima o poi Daniele sarebbe rientrato dal suo laboratorio dove saldava e torniva in fondo alla corte alle spalle della ferrovia. Sarebbe riemerso insaccato nel suo camice blu con aria interrogativa ed occhiali abbassati sulla punta del naso. “Biffi non ho tempo, ho da finire dei telai, se hai da lasciarmi qualcosa metti lì che poi ci penseremo, tant per capì cosa hai portato?”

In quegli anni tumultuosi, l’evoluzione era in piena rampa di lancio. Le discipline cross country e DH si stavano evolvendo prendendo strade opposte, la specializzazione era ormai nel destino della mountain bike; solo pochi anni prima non si consideravano corse superiori a 130 mm pensando che fossero il limite per i mezzi da discesa. Su richiesta degli atleti, che si sentivano defraudati dai mezzi non all’altezza, gli ingegneri iniziarono a costruire forcelle a steli rovesciati sulla scia della Suspenders System II che nel 1991 Robert Reisinger aveva costruito per abbinarla alla San Andreas… Torniamo sempre lì.

Qualche anno dopo un Ingegnere tedesco, Peter Denk, presentò una sua creatura con una corsa mostruosa per i tempi: più di 160 mm al posteriore ma senza un sostegno adeguato all’anteriore, si disse che non era quella la via, un esercizio di stile inutile. Cannondale che era un azienda dinamica ed innovativa, fino al buco finanziario regalato dalla voglia di costruire e vendere una moto da cross che fosse pensata e costruita in alternativa ai colossi Giapponesi, propose nel 1998 una doppia piastra di nome Moto da 80 mm che poteva raggiungere i 120mm nella versione più cattiva. Non ebbe un successo epocale ma segata a metà diede origine alla Lefty. Nel frattempo Brent Foes un nome che entrerà a far parte della scuderia Pro-M per qualche anno aveva costruito nel suo garage tre anni prima la F1, una massiccia a steli rovesciati da 127 mm di derivazione motociclistica al grido di “abbattiamo le masse sospese” .

La costa Californiana era in fermento ed anche Kevin Risse, ex dipendente Fox Suspension, si era messo a produrre la “The Champ” e la “Trixxxy” un’ argentea doppia piastra a steli rovesciati anch’essa, che aveva escursioni da 4,5 pollici ( 115 mm) a ben 7 pollici (178mm). Il chiodo fisso del Biffi sembrava lì dall’essere scardinato dalle ultime novità della Sea Otter Classic.
Da giorni aveva in consegna un telaio innovativo, una vera scossa sismica nel nostro mondo! Robert Reisinger lo aveva anticipato qualche mese prima: una evoluzione della San Andreas con un escursione monstre di 200 mm al posteriore con un leveraggio che permette di variare la curva di compressione. Queste caratteristiche la fiondano nel mondo della DH senza alcuna altra soluzione, ma aveva anche la possibilità di montare una torretta estraibile per il deragliatore della guarnitura fatto che amplificava il campo di utilizzo, cosa che fece scattare la molla del grilletto della dimensione onirica: la bici totale. Finalmente era stato consegnato e il giorno stesso, raccolti tutti i componenti e la prima Trixxxy ricevuta, Gianni si era fiondato in via Delfico per chiedere al Marnati che faceva come di suo il burbero di prepararla per il set fotografico. Tempo per provarla ne avrebbe avuto il fine settimana, ora era ansioso di metterla sulla bilancia…

Daniele sapeva già che cosa volesse e pulendosi i palmi delle mani nel camice si avvicinò allo scatolone dove stampato “MANEGGIARE CON CURA!” campeggiava su tutti i lati. “Non capisco, ma mi adeguo… dai fammi vedere”. Gianni aprì sotto gli occhiali sghimbesci sul naso di Daniele il cartone che conteneva la Shockwave, questo il nome della bimba rossa conturbante e muscolosa con dettagli oro quasi fossero gioielli al collo di una signora, che avrebbe messo in moto una rivoluzione nell’andare in MTB: il freeride! Ma questo non lo sapeva ancora mentre la guardava strizzando gli occhi: l’era delle sospensioni a corsa lunga fuori dal mondo delle competizioni di DH era prossimo a venire.

Marnati era avvezzo alle realizzazioni che Gianni gli faceva fare da tempo: aveva già montato alcune San Andreas con forcelle dalla corsa lunga ed anche tradizionali doppia piastra, ma il limite della sospensione posteriore era troppo evidente ed il monocross non aiutava l’azione avendo corse ridotte. Questa era decisamente meno bella della sua sorella maggiore affinata ed elegante, così un poco tracagnotta e caratterizzata da un telaio scatolato con profilo ad Y innervato in più punti che la rendeva meno oggetto d’ammirazione per i puristi del Marchio, ma in ogni caso in quel momento era il prodotto a corsa lunga che mancava, quello che il Biffi attendeva nonostante lui fosse ed è ancora oggi innamorato della San Andreas.

“Dai Daniele vedi se riesci a finirla per dopodomani, ti chiamerò domani sera per sapere come va”. Gianni, salutò la Sig.ra Marnati, che non si era mossa di un centimetro dalla sua posizione tutta presa nell’ascoltare la loro conversazione, lo ricambiò con un mezzo sorriso compiaciuto abbassando lo sguardo su quello che stava leggendo.
“Oh se ce la faccio te la monterò per dopodomani, altrimenti quando sarà pronta l’avrai… Non è che se dopodomani non c’è il mondo non va avanti. Vivi lo stesso eh…” In cuor suo Gianni sapeva che l’avrebbe ultimata e molto prima di dopodomani, lo conosceva bene: questo suo modo di fare era una straordinaria armatura contro gli imprevisti della vita di fronte a quello che non conosceva e che era lontanissimo dai suoi canoni. Non capiva questi che volevano girare con bici che avevano ben poco che fare con quegli otto tubi che lui aveva imparato a conoscere da bambino, adesso con tutto quello scatolato in alluminio dove saremmo finiti?

Certo li faranno di plastica come ha fatto Bob Girvin, così anche le saldature non avranno più senso e la meccanica andrà a fare un bagno nel Naviglio, poi quella forcella bella, ma a che scopo?. “Di escursione non c’è né mai abbastanza, ricordatelo…” era come se Gianni leggesse nella mente di Daniele, lo conosceva così bene che non erano necessarie domande. “Gianfranco avrebbe citato John Holmes, io invece cito Joshua Bender”
Del resto tutta quella fretta che Papà Gambalunga aveva era più che giustificata: era il mezzo più prossimo ad una moto da fuoristrada che potesse concepire, che potevi pedalare in salita e far scatenare in discesa. Era il sogno di molti di noi che rese distintivo il Pro-M Team : il gruppo fece sua questa filosofia, la portò in giro ovunque da veri ed autentici discepoli epicurei tra una birra ed una risata.

Si tirò la porta alle spalle e lentamente si avvicinò al furgone. Ricevette l’ennesima chiamata, innestò la prima e si allontanò con uno stridio di pneumatici evitando il solito pensionato che attraversava la via Delfico in direzione dell’officina.