Pro-Meide – Libro I – La stagione degli esperimenti viene e non se ne va

Libro I – Cap. VIII

La stagione degli esperimenti viene e non se ne va

 

Mi sa che da piccolo il Biffi giocava con il piccolo chimico… Non con l’allegro chirurgo perché lì bisognava solo rimettere a posto gli organi senza fa prendere la scossa al paziente, non sostituivi fegato o polmoni con altri organi facevi solo il check, stop. Il chirurgo lo lasciava fare a Marnati che rinchiuso nella sua officina mescolando telai, viti, cavi e componenti fin tanto che creava l’essere perfetto, talmente perfetto che mai uno era uguale all’altro perché la perfezione porta sempre ad non essere mai soddisfatti. Ne ho quasi la certezza che la sperimentazione fosse il volano delle prove che gli ho visto eseguire spesso e volentieri positive ma a volte pirotecniche, il tutto al fine di migliorare le sue amate bimbe. Alla teoria ovviamente seguiva la dimostrazione pratica che veniva svolta durante le uscite del fine settimana, normalmente con il resto del Team pronto ad assimilare se positiva con Gianni nel ruolo periglioso di collaudatore, visto che le idee non si limitava ad enunciarle ma soprattutto a darne prova.

Considerato che la MTB era e rimane una passione che darebbe da lavorare ad un sacco di psicologi per dare una spiegazione scientifica della diffusione di questa sindrome che ti mette a riposo fisico per cinque giorni, scartabellando ai tempi le riviste per vedere novità e migliorie dando segni di grave astinenza da prodotto perché non tutti vivono della propria passione e di altro bisogna pur vivere, facendoti anelare in ogni minuto lasciato libero i due giorni dove ti potresti scatenare, sempre che il meteo sia positivo e che gli impegni familiari non ti costringano ad uscite istantanee che normalmente hanno lo stesso sapore di una minestra liofilizzata. Ricordo Bikers che dovevano tassativamente rientrare alle 12,30 della domenica per presiedere il pranzo o che in nome della passione uscivano ad ore antelucane calcolando i tempi degli spostamenti al millesimo di secondo cosa che i distacchi in una gara di slittino sembravano ore. Peccato che quando sei in bici, tutti lo sappiamo bene, il tempo se ne vola alla velocità della luce e quindi il portarsi un amico consenziente che era il capro espiatorio del ritardato rientro in famiglia risultava essere fondamentale. “Amoreeee… scusa ma sono in ritardo, il Freak come sempre se non combina disastri non è lui. Pensa che ha forato tre volte abbiamo finito le camere… Stiamo tornando a piedi… Dai, un’oretta e ci sono”. Pinocchio aveva un naso piccino, piccino a confronto.

Cosi i nostri amici contagiati si aspettavano sempre l’ultima novità ed era un continuo aprire discussioni sulla validità dell’evoluzione non tanto tra di noi ma con gli altri Bikers alimentando querelle che sfociavano in interminabili discussioni quasi ci fossero Passatisti contro Futuristi (noi eravamo da questa parte alla faccia della Nike di Samotracia).
In quel periodo aureo dello sviluppo, come già accennato le geometrie erano un attimino rudimentali e la maneggevolezza il difetto peggiore: il movimento centrale era molto in alto soprattutto sulle San Andreas, Gianni riuscì a dare più stabilità aumentando la corsa della forcella ma nonostante tutto i miglioramenti non erano sufficienti. Come si poteva ancora fare per arrivare al risultato desiderato? Voleva abbassare il baricentro ma non avendo eccentrici che lo permettessero si poteva fare solo una cosa: cambiare il diametro delle ruote e passare da 26 a 24 pollici. La maggior corsa e l’angolo più aperto avrebbero supplito alla minor facilità nello scavalcamento degli ostacoli, il minor diametro rendeva le ruote più robuste, risparmiando rotture ai cinghialoni del Team (come sempre ogni riferimento a persone NON è puramente casuale, è autoreferenziato). Subito dopo quei primi esperimenti iniziarono ad affacciarsi bici con ruote dal diametro 26 sull’anteriore, 24 al posteriore sempre per aumentare l’angolo, ma per Gianni era raggiungere un altro obbiettivo: renderla molto più gioiosa e giocosa di quanto non lo fosse, il progetto aveva ormai più di dieci anni e a parte aver allungato la corsa dell’ammortizzatore, poco era cambiato. Con l’arrivo di ruote da 24 pollici la ricerca dei pneumatici diventò una priorità, pochissime aziende le producevano e fino a quel momento la sezione più in voga era 2.2 considerato un limite per le bici anche nel DH. Eppure un’azienda Finlandese la Nokian, stato che si conosceva allora soprattutto per la Nokia quella dei telefoni portatili, oltre a produrre ottimi pneumatici invernali per auto aveva un buon catalogo di gomme da bicicletta 24 e 26 pollici dove spiccava un modello nominato Gazzaloddi offerto in diametro 3.0 pollici e successivamente in un “modesto” 2.6 . Come Jake “Joliet” Blues dopo aver visto la luce, il Gianni non ebbe pace fintanto che non riuscì ad importarne un lotto, era in missione per conto del divertimento e quello non aspettava.

Come sempre i Passatisti ciclisti, che son sempre la maggioranza, si prodigavano con “assennati” giudizi nei confronti di tutto ciò che usciva dalla loro “confort zone”; tipico di coloro che giusto perchè un loro amico che ne capisce gli aveva detto che non servono ad un razzo anche se non li aveva mai provati i Gazzaloddi. Si spellavano le dita scrivendo post al veleno sui primi forum pur di poter essere portatori di certezze… A volte l’è puse facil metegela in thel cù che nel cò (è più facile convincerlo a mettersi prono piuttosto che stare a disquisire elegantemente sul senso della vita per renderlo edotto… Traduzione a cura dei non Lombardi). Ma essere caparbi ed aver provato sul campo e non sulla tastiera il prodotto diede ragione a Gianni: il Gazzaloddi ebbe un ampia diffusione soprattutto nelle discipline gravity e sulle front da Dirt aprì una strada che sarebbe stata ripercorsa molti anni dopo con le Plus… Le 2.6 sono ormai le gomme di ordinanza delle moderne 29.

Ma tenerlo fermo era come riuscire ad azzittire il Freak, la ricerca non poteva fermarsi, qualcosa di nuovo da testare c’era sempre anche per migliorare un prodotto che si utilizzava sulle Mountain Cycle: i dischi del freno Pro-Stop. In quegli anni era un prodotto molto all’avanguardia per potenza e modulabilità, affidabili e poco inclini alla fatica. I dischi flottanti come da miglior tradizione motociclistica per contenere il peso vista la sezione ed il diametro, erano forgiati in alluminio e poi induriti da anodizzazione metallica dura. Il problema che si presentava era l’usura della stessa che impediva di avere una costante risposta del freno, arrivando a consumare il piatto di alluminio. Questo grazie alle velocità e sollecitazioni che in origine non furono riscontrate, dato che ora avevamo a disposizione mezzi come la Shockwave che ci permettevano ben altre prestazioni. Bisognava trovare un’alternativa che fosse altrettanto in linea con i pesi per ridurre il problema delle masse sospese vista la dimensione dei dischi (228 ant. e 208 post. ndr.). Gianni fece una scelta che sembrava in linea con i requisiti richiesti, sarebbero stati realizzati in titanio, metallo di derivazione aeronautica che nel mondo della MTB aveva preso piede per la realizzazione di viteria, componenti e di telai che sfruttavano il peso specifico e le caratteristiche meccaniche: John Castellano fondatore del marchio IBIS, che ammiro dal 1995, costruì la BowTi con il pregiato materiale: una straordinaria ed incredibile 5 pollici di corsa senza alcuno snodo… fu una delle visioni più estreme dello sviluppo nel settore MTB.

Ben presto i prototipi vennero pronti, il chirurgo li installò e una delle tante domeniche che passavamo al Mottarone Gianni si preparò al test. Per onor di cronaca soffre da idiosincrasia acuta da protezioni a parte il casco ovviamente, non l’ho mai visto indossare ginocchiere, pettorine od alla peggio gomitiere… Quel giorno sembrava essere un normale giorno di prove per vedere se i dischi in titanio erano la soluzione al problema. Il titanio è un metallo molto particolare ha un punto di fusione elevato pari a 1668 °C, resistente alla corrosione, ottimo per l’impiego nella costruzione di macchinari che possiedono parti destinate alle alte velocità con attrito quindi che resistono alla scalfittura come le pale delle turbine dei motori aeronautici: era la scelta giusta esoterica, ma tecnologica e leggera. Il problema del titanio è la trasmissione del calore e del suo indice di durezza, le pastiglie dei freni sono concepite per una pista di acciaio che ha durezze ben diverse, ma quando si sperimenta non sempre ci si focalizza sui dettagli. Si cominciò a scendere precedendolo, lungo uno dei sentieri che portavano alla strada asfaltata con passo allegro e giocoso: visto che avevamo perso il contatto con Gianni ci fermammo in sua attesa. Il nostro collaudatore arrivò poco dopo adducendo il ritardo a poca sicurezza in frenata. Quindi giù in discesa a velocità ancor più sostenute sull’ asfalto verso Gignese. Lo spettacolo che da lì a poco ci si propose era degno dei migliori fuochi pirotecnici sulla costiera Amalfitana a Capodanno. Cercando di rallentare dato che la velocità iniziava a farsi troppo elevata ci vedemmo sfilare dalla Shockwave impazzita con in sella un Gianni urlante che teneva quattro dita sulle leve e che cercava di rallentare in tutti i modi, circondato da una girandola di scintille multicolori generate dall’attrito delle pastiglie sui dischi. Un carro allegorico non fosse che scendeva ad una velocità assurda!
Poi come quasi in tutti questi momenti riuscì a trovare una riva che gli permise di rallentare ed alla fine a fermarsi. “Guarda che la Forestale ci denuncia se metti a fuoco il bosco, poi Capodanno a lì da venire, siamo in Piemonte e certe manifestazioni di giubilo non sono comprese fino in fondo, non anticipiamo i tempi, già “non ci sono quasi più le stagioni di una volta…” Per sdrammatizzare credo che appurato che danni fisici e meccanici non ne avevamo portati a casa un poco di sana presa per i fondelli ci potesse stare…

“Esperimento abortito, qui bisogna passare a qualcos’altro per oggi abbiamo dato abbastanza… quasi vado a fuoco!”. Sorrideva in quel momento, ma l’episodio lo portò a cercare alternative di materiale e poi di prodotto. Da lì a poco un impianto dalle pinze rosse sarebbe entrato a far parte dei montaggi Pro-M e avrebbe messo in pensione gli storici Pro-Stop. “Non è sintomo di intelligenza non cambiare idea e soprattutto se non hai prove oggettive sul corretto funzionamento dei prodotti non puoi esprimere giudizi”. Gianni appoggiò la schiena esausto alla sedia del bar della funivia, la panachè che ci stava occhieggiando sul bancone del bar rimase li giusto qualche secondo.

Lo vedevo assorto, taciturno, la condizione che esprime quando ha un giramento di scatole, sapevo che il Lunedì sarebbe corso a cercare qualcosa altro da testare, non voleva stare senza una nuova sfida pronta per la prossima uscita.
Da quando lo conosco non si è ancora fermato dopo che ha visto la luce…